Il Signore delle profondità gardesane, il Carpione.
Il “Carpiò” in veronese o il “Carpiù” in bresciano stanno ad indicare il Carpione, Salmo trutta carpio, un salmonide endemico del Lago di Garda.
Un endemismo che ha reso famoso il Garda già nel rinascimento, ma non per la sua particolarità naturalistica che lo rende appunto unico e presente nel mondo solo nel Garda, ma per l’assoluta eccellenza delle sue carni.
Il Carpione si trovava infatti già nei banchetti più importanti della Serenissima Repubblica di Venezia, per esempio, dove rappresentava il piatto forte dell’offerta culinaria.
Citato ed osannato questo pesce ispirò anche dei poemi, infatti scrisse di lui anche Caio Valerio Catullo, tra gli altri.
Un pesce che si diceva si nutrisse d’oro ed argento, ma solo perché era proprio il suo valore ad avvicinarsi a questi metalli preziosi. Ma tutta questa ammirazione da cosa derivava?
Certamente dalla sua bontà, prelibatezza e per l’indubbio fascino della sua unicità, quasi misteriosa, che alcuni antichi poeti immaginarono, evidentemente per una volontà divina, come piovuto dal cielo nelle acque del Benaco.
Il Carpione quindi è una vera e propria eccellenza, anticamente lo si pescava, friggeva, lo si cospargeva poi di aceto e avvolto in foglie di Alloro lo si commercializzava in moltissime regioni d’Italia.
Non credo di sbagliare nel dire che il Carpione fu il primo vero influencer del Lago di Garda.
infatti elogiando il Carpione, nei banchetti più prestigiosi d’Italia, si parlava del Benaco. Il Carpione è un pesce che non raggiunge grandi dimensioni, si aggira tra i 35 e 38 cm e con un peso tra 1 e raramente sui 2kg.
Infatti sono riportate catture “eccezionali” sui testi dei pescatori come nel 1894, con una cattura da 1,3kg, nel 1895 uno da 1,6kg e addirittura nel 1850 il pescatore chiamato “Merlo”, di Garda presumibilmente, ne pescò uno da 2,3kg.
Pensate che nel 1860 il suo valore di mercato era di Lire 1,50 al Kg. Il Carpione ha la particolarità di vivere in grandi profondità, in acque pulitissime ed è, come scritto nel titolo di questo articolo, il vero “Signore delle profondità gardesane”.
E’ in grado di deporre le sue uova nel periodo di frega tra gli 80 e i 300 mt, mediamente comunque sui 200mt, dove l’acqua ha una temperatura costante di circa 7/8 gradi, tra luglio e agosto, così come tra dicembre e gennaio.
La sua pesca era anticamente faticosissima e difficile, per la necessità di calare reti in grandi profondità, anche tra correnti sub lacuali, poi nel 1850 la svolta, con la comparsa sul Garda della “Tirlindana”, una lenza da pesca trainata a remi allora, oggi a motore, con cui si potevano seguire i branchi nelle zone anche più profonde come in quelle più superficiali.
Proprio grazie a questa nuova tecnica la pesca del Carpione vide un sostanziale aumento delle catture. Catture che, è giusto ricordarlo, ebbero da allora anche momenti ciclici di grande scarsità di pescato.
Tra fine ‘800 e inizi ‘900 la valle di Dusano era considerata la zona con la più alta concentrazione di Carpioni e quindi lì si presentava uno spettacolo che merita di essere raccontato e cercherò di farò parafrasando i racconti di Floreste Malfer, che vide con i suoi occhi quanto ora mi appresto a scrivere.
Le barche allora potevano essere lì concentrate tra le 150 e 200 unità, tra veronesi e bresciani, soprattutto nei mesi invernali.
Si pescava dall’alba al tramonto, remando e trainando così la Tirlindana, agganciando come esca delle piccole lamine di latta battute, per farle assomigliare a piccole Alborelle o le Alborelle stesse.
All’ora di pranzo i pescatori arrivavano a riva, scendevano dalle loro imbarcazioni, raccoglievano qua e là legni e canneti dalla spiaggia per accendere un fuoco.
Sopra collocavano il paiolo, sostenuto da un remo tenuto sospeso in appoggio tra due assi di legno o tra due barche.
Si cuoceva così la polenta e i pescatori erano quindi, a piccoli gruppi, accovacciati sulle rive attorno i loro fuochi, immersi nel fumo che produce il canneto e il legno quando brucia ancora umido.
A detta di chi vide e raccontò questi momenti, questi pescatori, disseminati in tantissimi piccoli gruppi sulle rive, sembravano come gente paleolitica, risorta dopo millenni, in abiti e mantelli rattoppati alla meglio, semplici e dignitosi, proprio come erano le genti gardesane.
Dopo il pranzo, che consisteva nella sola polenta, cotta o meno che fosse, si riprendeva a remare e pescare fino a sera.
Questa era la vita sul Garda, scorreva dura e faticosa, come dura e faticosa era la vita del pescatore, per cui la pesca rappresentava letteralmente vita e sopravvivenza.
Vista la resa economica del Carpione si tentò più volte, a partite dal 1868, di esportare questo pesce eccellente anche in altri laghi come il Ledro, il Bracciano, il Bolsena, il Toblino, l’Idro, nel Maggiore e nei laghi di Varese, ma non sopravvisse mai, l’unico Lago in cui il Carpione poteva vivere era il Lago di Garda.
Lo capì la Società Benacense, fondata nel 1904 a Peschiera del Garda, che intravide in queste pratiche, dettate puramente da una necessità economica e di business, un rischio enorme per la sopravvivenza del Carpione e riuscì così a far terminare queste immissioni ittiogeniche che rischiavano appunto di farlo scomparire.
La Treccani indica l’endemismo, in biologia, come la presenza in una regione circoscritta di razze o specie o generi caratteristici e limitati a quella regione.
Il Lago di Garda, come avrete capito leggendo questo articolo, ha il suo endemismo ed è il Carpione.
Questo pesce dovrebbe essere l’immagine simbolo del Garda, in quanto rappresenta unicità, valore, eccellenza e necessità di tutela.
Per due anni Regione Lombardia, coordinata dal Centro G.R.A.I.A, con il patrocinio di molti comuni, tra cui quello di Peschiera del Garda, ha partecipato ad un importante progetto LIFE della Comunità Europea, per il recupero di questa specie, purtroppo a rischio.
Per due volte il progetto è stato bocciato, con motivazioni davvero incomprensibili, come la “non replicabilità” di tale progettazione in altri laghi europei…come se fosse possibile che il Carpione potesse esistere anche al di fuori del Garda.
La storia stessa ci ha insegnato che, la dove il Carpione è stato esportato per ripopolare altri bacini, si è sempre estinto.
Non bisogna mai dimenticare che se scomparisse il Carpione sarebbe per sempre e non ci sarebbe più alcun modo di recuperarlo.
Oggi è inserito nella “IUCN – Red List” come specie a forte rischio estinzione.
Il Signore delle profondità gardesane porta con sé secoli di storia e tradizioni gardesane e se ci pensiamo bene, chi meglio del Carpione può rappresentare, grazie alla sua unicità, l’identità gardesana? Ph: “Il Benaco” di Floreste Malfer
Un endemismo che ha reso famoso il Garda già nel rinascimento, ma non per la sua particolarità naturalistica che lo rende appunto unico e presente nel mondo solo nel Garda, ma per l’assoluta eccellenza delle sue carni.
Il Carpione si trovava infatti già nei banchetti più importanti della Serenissima Repubblica di Venezia, per esempio, dove rappresentava il piatto forte dell’offerta culinaria.
Citato ed osannato questo pesce ispirò anche dei poemi, infatti scrisse di lui anche Caio Valerio Catullo, tra gli altri.
Un pesce che si diceva si nutrisse d’oro ed argento, ma solo perché era proprio il suo valore ad avvicinarsi a questi metalli preziosi. Ma tutta questa ammirazione da cosa derivava?
Certamente dalla sua bontà, prelibatezza e per l’indubbio fascino della sua unicità, quasi misteriosa, che alcuni antichi poeti immaginarono, evidentemente per una volontà divina, come piovuto dal cielo nelle acque del Benaco.
Il Carpione quindi è una vera e propria eccellenza, anticamente lo si pescava, friggeva, lo si cospargeva poi di aceto e avvolto in foglie di Alloro lo si commercializzava in moltissime regioni d’Italia.
Non credo di sbagliare nel dire che il Carpione fu il primo vero influencer del Lago di Garda.
infatti elogiando il Carpione, nei banchetti più prestigiosi d’Italia, si parlava del Benaco. Il Carpione è un pesce che non raggiunge grandi dimensioni, si aggira tra i 35 e 38 cm e con un peso tra 1 e raramente sui 2kg.
Infatti sono riportate catture “eccezionali” sui testi dei pescatori come nel 1894, con una cattura da 1,3kg, nel 1895 uno da 1,6kg e addirittura nel 1850 il pescatore chiamato “Merlo”, di Garda presumibilmente, ne pescò uno da 2,3kg.
Pensate che nel 1860 il suo valore di mercato era di Lire 1,50 al Kg. Il Carpione ha la particolarità di vivere in grandi profondità, in acque pulitissime ed è, come scritto nel titolo di questo articolo, il vero “Signore delle profondità gardesane”.
E’ in grado di deporre le sue uova nel periodo di frega tra gli 80 e i 300 mt, mediamente comunque sui 200mt, dove l’acqua ha una temperatura costante di circa 7/8 gradi, tra luglio e agosto, così come tra dicembre e gennaio.
La sua pesca era anticamente faticosissima e difficile, per la necessità di calare reti in grandi profondità, anche tra correnti sub lacuali, poi nel 1850 la svolta, con la comparsa sul Garda della “Tirlindana”, una lenza da pesca trainata a remi allora, oggi a motore, con cui si potevano seguire i branchi nelle zone anche più profonde come in quelle più superficiali.
Proprio grazie a questa nuova tecnica la pesca del Carpione vide un sostanziale aumento delle catture. Catture che, è giusto ricordarlo, ebbero da allora anche momenti ciclici di grande scarsità di pescato.
Tra fine ‘800 e inizi ‘900 la valle di Dusano era considerata la zona con la più alta concentrazione di Carpioni e quindi lì si presentava uno spettacolo che merita di essere raccontato e cercherò di farò parafrasando i racconti di Floreste Malfer, che vide con i suoi occhi quanto ora mi appresto a scrivere.
Le barche allora potevano essere lì concentrate tra le 150 e 200 unità, tra veronesi e bresciani, soprattutto nei mesi invernali.
Si pescava dall’alba al tramonto, remando e trainando così la Tirlindana, agganciando come esca delle piccole lamine di latta battute, per farle assomigliare a piccole Alborelle o le Alborelle stesse.
All’ora di pranzo i pescatori arrivavano a riva, scendevano dalle loro imbarcazioni, raccoglievano qua e là legni e canneti dalla spiaggia per accendere un fuoco.
Sopra collocavano il paiolo, sostenuto da un remo tenuto sospeso in appoggio tra due assi di legno o tra due barche.
Si cuoceva così la polenta e i pescatori erano quindi, a piccoli gruppi, accovacciati sulle rive attorno i loro fuochi, immersi nel fumo che produce il canneto e il legno quando brucia ancora umido.
A detta di chi vide e raccontò questi momenti, questi pescatori, disseminati in tantissimi piccoli gruppi sulle rive, sembravano come gente paleolitica, risorta dopo millenni, in abiti e mantelli rattoppati alla meglio, semplici e dignitosi, proprio come erano le genti gardesane.
Dopo il pranzo, che consisteva nella sola polenta, cotta o meno che fosse, si riprendeva a remare e pescare fino a sera.
Questa era la vita sul Garda, scorreva dura e faticosa, come dura e faticosa era la vita del pescatore, per cui la pesca rappresentava letteralmente vita e sopravvivenza.
Vista la resa economica del Carpione si tentò più volte, a partite dal 1868, di esportare questo pesce eccellente anche in altri laghi come il Ledro, il Bracciano, il Bolsena, il Toblino, l’Idro, nel Maggiore e nei laghi di Varese, ma non sopravvisse mai, l’unico Lago in cui il Carpione poteva vivere era il Lago di Garda.
Lo capì la Società Benacense, fondata nel 1904 a Peschiera del Garda, che intravide in queste pratiche, dettate puramente da una necessità economica e di business, un rischio enorme per la sopravvivenza del Carpione e riuscì così a far terminare queste immissioni ittiogeniche che rischiavano appunto di farlo scomparire.
La Treccani indica l’endemismo, in biologia, come la presenza in una regione circoscritta di razze o specie o generi caratteristici e limitati a quella regione.
Il Lago di Garda, come avrete capito leggendo questo articolo, ha il suo endemismo ed è il Carpione.
Questo pesce dovrebbe essere l’immagine simbolo del Garda, in quanto rappresenta unicità, valore, eccellenza e necessità di tutela.
Per due anni Regione Lombardia, coordinata dal Centro G.R.A.I.A, con il patrocinio di molti comuni, tra cui quello di Peschiera del Garda, ha partecipato ad un importante progetto LIFE della Comunità Europea, per il recupero di questa specie, purtroppo a rischio.
Per due volte il progetto è stato bocciato, con motivazioni davvero incomprensibili, come la “non replicabilità” di tale progettazione in altri laghi europei…come se fosse possibile che il Carpione potesse esistere anche al di fuori del Garda.
La storia stessa ci ha insegnato che, la dove il Carpione è stato esportato per ripopolare altri bacini, si è sempre estinto.
Non bisogna mai dimenticare che se scomparisse il Carpione sarebbe per sempre e non ci sarebbe più alcun modo di recuperarlo.
Oggi è inserito nella “IUCN – Red List” come specie a forte rischio estinzione.
Il Signore delle profondità gardesane porta con sé secoli di storia e tradizioni gardesane e se ci pensiamo bene, chi meglio del Carpione può rappresentare, grazie alla sua unicità, l’identità gardesana? Ph: “Il Benaco” di Floreste Malfer