Verso il marchio d’eccellenza del pescato gardesano.
Oggi vi propongo una riflessione sul probabile futuro e valorizzazione del pescato e dell’habitat gardesano.
Probabilmente qualcuno potrà ritenere questa visione utopistica, ma credo che lo stimolo per un sano e soprattutto costruttivo dibattito debba passare da proposte sensate e ragionate, basate sia sull’identità del territorio gardesano che sulle evidenze dello stato attuale ed evoluzione dell’habitat.
Per chi di voi legge i miei articoli, pubblicati anche sul mensile GN – Gardanotizie, avrà chiaro che specie come l’Alborella, Carpione, Anguilla, Trota Lacustre siano in una situazione critica, per alcune di esse è addirittura in vigore uno stop alla pesca per evitarne l’estinzione, mentre per l’Anguilla è in vigore uno stop per problemi sanitari, causati dalla presenza di diossina(PCB) nelle sue carni, esattamente nei tessuti adiposi.
Queste erano tutte specie che occupavano un ruolo importante nell’economia della pesca gardesana, dal Carpione, eccellenza endemica, alle pregiatissime carni della Trota Lacustre, fino all’Anguilla.
Tutto a dimostrazione di come il Garda avesse davvero un’ampia possibilità di “scelta” e biodiversità ittica.
I cambiamenti ambientali derivati principalmente dalla pressione antropica legata alla ripresa economica legata al nuovo fenomento del turismo nel dopoguerra, hanno generato un declino rapido di moltissime specie ittiche gardesane.
Questo vuoto generatosi, per l’impossibilità di pescare tali specie è stato gradualmente colmato dal Lavarello o Coregone, immesso nel 1918 nel Garda.
Un pesce che doveva contribuire ad aumentare la disponibilità di specie pregiate ma che, visto quando scritto sopra, si trova oggi a rappresentare l’unico vero elemento in grado di mantenere in vita un settore produttivo ed economico, in quanto costantemente immesso artificialmente.
Tralasciando il possibile e non quantificato danno all’equilibrio dell’ecosistema lacustre, generato negli anni da una massiccia e costante immissione di Coregone a fini commerciali oggi, con le nuove disposizioni della Carta Ittica, la stessa immissione presenza del Coregone è a rischio, in quanto catalogato come specie aliena (non originaria), anche se presente nel Garda da ormai oltre 100 anni.
Quindi la domanda che pongo è semplice e diretta, senza tante recriminazioni per ciò che è stato e che sarebbe potuto essere…: “cosa resta e cosa resterà della pesca professionistica e commercio ittico sul Garda se le specie pregiate stanno diventando sempre meno?”
Il risultato per ora è che tanti pescatori stanno prelevando un po’ di tutto dal Lago, almeno tutto quello che può dare un minimo di reddito, Carpe da vendere ai laghetti di pesca sportiva, Scardole e Carassi per il mercato, che spesso si svolge fuori da ogni norma sanitaria, per acquirenti dell’est Europa, ecc…
Inoltre, ad aggravare la situazione abbiamo tantissimi pescatori di professione “stranieri” che, senza arte nè parte, spesso pescano infrangendo le regole, con reti fuori diametro e lunghezza, come ampiamente testimoniato dalle guardie faunistiche e dalle sanzioni applicate, anche dalla Guardia Costiera.
Costoro cercano il massimo profitto possibile senza tenere conto minimamente del contesto in cui operano perché non hanno cultura del valore della pesca e la loro attività è sterilmente deputata al maggior incasso economico giorno per giorno, senza una minima visione del futuro.
Ma non ne faccio una colpa diretta a loro…non è questo lo scopo ne del mio lavoro ne dei miei articoli.
Capite bene che questa situazione non può che degenerare, anche se in realtà lo è già e penso sia chiaro anche ai VERI pescatori di professione, che al lago ci tengono non solo perchè fonte di guadagno, ma perchè spesso figli d’arte e custodi di tradizioni e usanze che stanno scomparendo sotto i loro occhi.
Quale soluzione quindi?
Io sono per lavorare su due fronti: il primo, attraverso il Contratto di Lago, che già molti di voi conoscono, l’altro attraverso una vera e istituzionale valorizzazione del pesce del Garda.
Se partiamo dal concetto che il Lago di Garda versa, per ora ancora, in una buona situazione rispetto la qualità delle sue acque, la migliore tra tutti i grandi laghi italiani, che in prospettiva continuerà a migliorare visto l’ammodernamento, iniziato il mese scorso, del sistema di collettazzione fognaria, considerato il monitoraggio dei reflui abusivi in corso, considerata la biodiversità ittica presente…non viene logico pensare che questo pesce possa fregiarsi di un “riconoscimento” ufficiale per la sua qualità?
Un marchio d’eccellenza insomma.
Questo, insieme ad una filiera di controllo appropriata ne farebbe aumentare il valore e quindi la richiesta, che non dovrà svilupparsi però verso la quantità, ma restare ferma sulla qualità e territorialità, variando nel prezzo di vendita, che non può essere, come oggi accade, di pochi euro.
Non è possibile che un pesce non di allevamento, selvatico, che cresce in acque pulite, sia svenduto e non correttamente valorizzato, è in assoluto una contraddizione e uno spreco.
Valorizzarlo significa saperlo raccontare, lavorare, nobilitare e proporre affinchè si possa riappropriare della dignità che gli appartiene frutto della storia che lo ha visto da sempre molto richiesto.
C’è una nobile storia alle spalle della pesca sul Garda, l’ho raccontata più volte nei miei articoli, c’è un territorio che sviluppa eccellenze in grado di accompagnare il pesce gardesano verso una valorizzazione unica, olio e vini rinomati e DOC a km zero, grandi chef e ristoratori in grado di trasformalo in qualcosa di unico.
Insomma abbiamo tutta la filiera, ma serve la consapevolezza di questa grande opportunità che si nasconde dietro il Contratto di Lago e quindi dietro il recupero dell’ittiofauna e dell’habitat, base di ogni ragionamento in tal senso.
L’opportunità è lo sviluppo sinergico tra imprenditorialità e tutela ambientale.
Il pesce di Lago inoltre non dovrebbe essere esportato altrove, dovrebbe restare sul Garda garantendo una vera “filiera corta” per rifornire, con il suo giusto valore di mercato, le tavole ed i ristoranti gardesani.
Il turismo dovrebbe vantare tra le sue migliori offerte quella del “vero” pesce gardesano, CERTIFICATO tale, per trasportare il territorio nel piatto, trasformandolo in emozione ed “esperienza gastronomica”.
Mi ritengo una persona pragmatica e vedo perfettamente la difficoltà di far convergere tutti gli “attori” verso questa visione, una visione certo non a breve termine.
Serve il coraggio della lungimiranza e una grande dose di fiducia nel futuro, in quanto tutto sembra remare all’opposto e una visione d’insieme per cercare il bene di un territorio che ha così tanta da dare, ma anche tanto da recuperare in termini di equilibrio.
Il futuro sarà riavere l’Alborella, il Carpione, la Trota Lacustre e l’Anguilla, in popolazioni numericamente ben presenti e solide nel Garda, tanto da poterli tutelare e valorizzare anche economicamente, in modo attento e soprattutto consapevole, generando quell’interesse plurimo in grado di far coesistere in equilibrio prelievo e immissione con tutela e valorizzazione.
Questa è la chiave, secondo me, per ambire seriamente ad un cambio di marcia sul Lago di Garda, servono politici che ci credano e ci mettano la faccia, serve una regia unica sul Garda e la Comunità del Garda è l’attore giusto a tal riguardo e titolato in tal senso.
Serve far comprendere a tutti cos’è il Lago di Garda, quale è stata la sua storia e la sua cultura…che io chiamo Cultura dell’Acqua.
Ringrazio Alessandro Adami per le splendide foto dell’ittiofauna gardesana.
Probabilmente qualcuno potrà ritenere questa visione utopistica, ma credo che lo stimolo per un sano e soprattutto costruttivo dibattito debba passare da proposte sensate e ragionate, basate sia sull’identità del territorio gardesano che sulle evidenze dello stato attuale ed evoluzione dell’habitat.
Per chi di voi legge i miei articoli, pubblicati anche sul mensile GN – Gardanotizie, avrà chiaro che specie come l’Alborella, Carpione, Anguilla, Trota Lacustre siano in una situazione critica, per alcune di esse è addirittura in vigore uno stop alla pesca per evitarne l’estinzione, mentre per l’Anguilla è in vigore uno stop per problemi sanitari, causati dalla presenza di diossina(PCB) nelle sue carni, esattamente nei tessuti adiposi.
Queste erano tutte specie che occupavano un ruolo importante nell’economia della pesca gardesana, dal Carpione, eccellenza endemica, alle pregiatissime carni della Trota Lacustre, fino all’Anguilla.
Tutto a dimostrazione di come il Garda avesse davvero un’ampia possibilità di “scelta” e biodiversità ittica.
I cambiamenti ambientali derivati principalmente dalla pressione antropica legata alla ripresa economica legata al nuovo fenomento del turismo nel dopoguerra, hanno generato un declino rapido di moltissime specie ittiche gardesane.
Questo vuoto generatosi, per l’impossibilità di pescare tali specie è stato gradualmente colmato dal Lavarello o Coregone, immesso nel 1918 nel Garda.
Un pesce che doveva contribuire ad aumentare la disponibilità di specie pregiate ma che, visto quando scritto sopra, si trova oggi a rappresentare l’unico vero elemento in grado di mantenere in vita un settore produttivo ed economico, in quanto costantemente immesso artificialmente.
Tralasciando il possibile e non quantificato danno all’equilibrio dell’ecosistema lacustre, generato negli anni da una massiccia e costante immissione di Coregone a fini commerciali oggi, con le nuove disposizioni della Carta Ittica, la stessa immissione presenza del Coregone è a rischio, in quanto catalogato come specie aliena (non originaria), anche se presente nel Garda da ormai oltre 100 anni.
Quindi la domanda che pongo è semplice e diretta, senza tante recriminazioni per ciò che è stato e che sarebbe potuto essere…: “cosa resta e cosa resterà della pesca professionistica e commercio ittico sul Garda se le specie pregiate stanno diventando sempre meno?”
Il risultato per ora è che tanti pescatori stanno prelevando un po’ di tutto dal Lago, almeno tutto quello che può dare un minimo di reddito, Carpe da vendere ai laghetti di pesca sportiva, Scardole e Carassi per il mercato, che spesso si svolge fuori da ogni norma sanitaria, per acquirenti dell’est Europa, ecc…
Inoltre, ad aggravare la situazione abbiamo tantissimi pescatori di professione “stranieri” che, senza arte nè parte, spesso pescano infrangendo le regole, con reti fuori diametro e lunghezza, come ampiamente testimoniato dalle guardie faunistiche e dalle sanzioni applicate, anche dalla Guardia Costiera.
Costoro cercano il massimo profitto possibile senza tenere conto minimamente del contesto in cui operano perché non hanno cultura del valore della pesca e la loro attività è sterilmente deputata al maggior incasso economico giorno per giorno, senza una minima visione del futuro.
Ma non ne faccio una colpa diretta a loro…non è questo lo scopo ne del mio lavoro ne dei miei articoli.
Capite bene che questa situazione non può che degenerare, anche se in realtà lo è già e penso sia chiaro anche ai VERI pescatori di professione, che al lago ci tengono non solo perchè fonte di guadagno, ma perchè spesso figli d’arte e custodi di tradizioni e usanze che stanno scomparendo sotto i loro occhi.
Quale soluzione quindi?
Io sono per lavorare su due fronti: il primo, attraverso il Contratto di Lago, che già molti di voi conoscono, l’altro attraverso una vera e istituzionale valorizzazione del pesce del Garda.
Se partiamo dal concetto che il Lago di Garda versa, per ora ancora, in una buona situazione rispetto la qualità delle sue acque, la migliore tra tutti i grandi laghi italiani, che in prospettiva continuerà a migliorare visto l’ammodernamento, iniziato il mese scorso, del sistema di collettazzione fognaria, considerato il monitoraggio dei reflui abusivi in corso, considerata la biodiversità ittica presente…non viene logico pensare che questo pesce possa fregiarsi di un “riconoscimento” ufficiale per la sua qualità?
Un marchio d’eccellenza insomma.
Questo, insieme ad una filiera di controllo appropriata ne farebbe aumentare il valore e quindi la richiesta, che non dovrà svilupparsi però verso la quantità, ma restare ferma sulla qualità e territorialità, variando nel prezzo di vendita, che non può essere, come oggi accade, di pochi euro.
Non è possibile che un pesce non di allevamento, selvatico, che cresce in acque pulite, sia svenduto e non correttamente valorizzato, è in assoluto una contraddizione e uno spreco.
Valorizzarlo significa saperlo raccontare, lavorare, nobilitare e proporre affinchè si possa riappropriare della dignità che gli appartiene frutto della storia che lo ha visto da sempre molto richiesto.
C’è una nobile storia alle spalle della pesca sul Garda, l’ho raccontata più volte nei miei articoli, c’è un territorio che sviluppa eccellenze in grado di accompagnare il pesce gardesano verso una valorizzazione unica, olio e vini rinomati e DOC a km zero, grandi chef e ristoratori in grado di trasformalo in qualcosa di unico.
Insomma abbiamo tutta la filiera, ma serve la consapevolezza di questa grande opportunità che si nasconde dietro il Contratto di Lago e quindi dietro il recupero dell’ittiofauna e dell’habitat, base di ogni ragionamento in tal senso.
L’opportunità è lo sviluppo sinergico tra imprenditorialità e tutela ambientale.
Il pesce di Lago inoltre non dovrebbe essere esportato altrove, dovrebbe restare sul Garda garantendo una vera “filiera corta” per rifornire, con il suo giusto valore di mercato, le tavole ed i ristoranti gardesani.
Il turismo dovrebbe vantare tra le sue migliori offerte quella del “vero” pesce gardesano, CERTIFICATO tale, per trasportare il territorio nel piatto, trasformandolo in emozione ed “esperienza gastronomica”.
Mi ritengo una persona pragmatica e vedo perfettamente la difficoltà di far convergere tutti gli “attori” verso questa visione, una visione certo non a breve termine.
Serve il coraggio della lungimiranza e una grande dose di fiducia nel futuro, in quanto tutto sembra remare all’opposto e una visione d’insieme per cercare il bene di un territorio che ha così tanta da dare, ma anche tanto da recuperare in termini di equilibrio.
Il futuro sarà riavere l’Alborella, il Carpione, la Trota Lacustre e l’Anguilla, in popolazioni numericamente ben presenti e solide nel Garda, tanto da poterli tutelare e valorizzare anche economicamente, in modo attento e soprattutto consapevole, generando quell’interesse plurimo in grado di far coesistere in equilibrio prelievo e immissione con tutela e valorizzazione.
Questa è la chiave, secondo me, per ambire seriamente ad un cambio di marcia sul Lago di Garda, servono politici che ci credano e ci mettano la faccia, serve una regia unica sul Garda e la Comunità del Garda è l’attore giusto a tal riguardo e titolato in tal senso.
Serve far comprendere a tutti cos’è il Lago di Garda, quale è stata la sua storia e la sua cultura…che io chiamo Cultura dell’Acqua.
Ringrazio Alessandro Adami per le splendide foto dell’ittiofauna gardesana.