I Bertovelli e l’Alborella…una storia gardesana.
Era il 1657 quando alcuni pescatori con le loro famiglie partirono dal Lago d’Iseo per raggiungere il Lago di Garda.
Non erano però pescatori emigrati in cerca di fortuna, bensì pescatori banditi letteralmente dalle loro terre d’origine, in quanto avevano iniziato ad effettuare un intenso ed insostenibile prelievo di Alborelle, attraverso reti chiamate “Bertovelli”.
Sul Garda, già da allora, non era certo infrequente vedere sui litorali pescatori di professione insieme agli avventizi, ovvero coloro che praticavano la pesca non come primaria attività, ma in modo saltuario.
Gli avventizi erano principalmente contadini che, nei periodi di scarso raccolto stagionale si dedicavano alla pesca per sfamarsi, certamente non in modo organizzato e comunque senza le attrezzature dei professionisti, pescando quindi quasi sempre dalle rive, per rimediare qualcosa da mangiare.
Questi pescatori dell’Iseo non erano però “avventizi”, anzi.
Erano stati banditi dalle loro terre in quanto avevano svuotato le acque dell’Iseo di quasi tutte le Alborelle, che facevano poi essiccare per venderle “a sacchi” nelle grandi città.
Arrivati sul Garda si resero conto subito della grande abbondanza di questo pesce e cominciarono a prelevarne in enorme quantità, attraverso queste reti e lo fecero per ben 12 anni, arricchendosi.
Ad un certo punto però, come si dice spesso: “…a tirare troppo la corda c’è il rischio che si rompa”.
Infatti nel 1671 le autorità della Serenissima Repubblica di Venezia, certamente imbeccate dalle invidie e preoccupazioni dei locali pescatori, emanarono un provvedimento che di fatto bandì questi pescatori anche dal Lago di Garda.
La pesca dalle rive del Garda con i Bertovelli, praticata dai bresciani dell’Iseo, non rappresentava comunque una novità. Tale pratica era certamente già in uso dal 1618.
I Bertovelli furono anche citati come elementi di pesca nel 1452, in cui gli “Originari” di Garda, Torri e Sirmione entrarono in possesso dei diritti di pesca sulla “peschiera S.Vigilio” che comprendeva la Secca del Vò e le coste dei comuni di Garda e Torri, messe all’asta per la pesca alle Alborelle.
La pesca delle Alborelle era più che altro impiegata per sfamare i locali, ovvero i gardesani, la cui dieta si basava molto su questi e altri piccoli pesci, spesso essiccati o fritti e conservati.
Per essiccarli venivano posti al sole, sistemandoli sulle rocce e sui porti, mentre il compito dei bambini era quello di tenere lontano due cose dal pesce in essicazione: le mosche e i gatti.
Le Alborelle si rivelavano anche utili da vendere in periodo di Quaresima…quindi garantivano un introito…ma era pur sempre un mercato rivolto ad una clientela poco abbiente.
Il pesce più pregiato, come il Carpione e le Trote Lacustri non lo si consumava come sostentamento quotidiano, nonostante fosse abbondante allora, ma lo si destinava solo alla vendita, per ovvi motivi…e il suo consumo nelle piccole comunità gardesane era considerato un tabù e sconsigliato con varie dicerie inventate “ad hoc”.
Con questi Bertovelli era facile pescare le Alborelle ed è anche per questo motivo che ebbero molto successo, permettendo a molti di praticare questa pesca, sempre di “sopravvivenza”…ma alla fine, tra i troppi pescatori improvvisati presenti che popolavano le rive, tra i litigi e risse frequenti, anche gravi, i Bertovelli vennero infine vietati, con i proclami del 1671, 1752 e 1780.
C’è da dire che normalmente i divieti venivano sempre disattesi dai gardesani.
E’ questo un piccolo spaccato di come la gestione del prelievo ittico sia sempre stata una questione “calda” sul Garda…sin dai tempi antichi, una piccola storia che ne definisce una molto più ampia, che si identifica come “cultura gardesana”…cultura dell’acqua.
In allegato un disegno realizzato da Sergio Bazzana, che ritrae la “Mòta de la giàra” allestita davanti il castello di Torri del Benaco (sullo sfondo) costituita da 8 Bertovelli disposti a raggiera, con al centro una lanterna ad olio su un palo conficcato sul fondale per attirare le Alborelle con la luce e farle finire in queste reti coniche ad imbuto che impedivano al pesce, una volta entrato, di uscire.
Per chi volesse approfondire queste storie consiglio il libro: “I Contadini-Pescatori dell’Alto Garda” di Giorgio Vedovelli.
Non erano però pescatori emigrati in cerca di fortuna, bensì pescatori banditi letteralmente dalle loro terre d’origine, in quanto avevano iniziato ad effettuare un intenso ed insostenibile prelievo di Alborelle, attraverso reti chiamate “Bertovelli”.
Sul Garda, già da allora, non era certo infrequente vedere sui litorali pescatori di professione insieme agli avventizi, ovvero coloro che praticavano la pesca non come primaria attività, ma in modo saltuario.
Gli avventizi erano principalmente contadini che, nei periodi di scarso raccolto stagionale si dedicavano alla pesca per sfamarsi, certamente non in modo organizzato e comunque senza le attrezzature dei professionisti, pescando quindi quasi sempre dalle rive, per rimediare qualcosa da mangiare.
Questi pescatori dell’Iseo non erano però “avventizi”, anzi.
Erano stati banditi dalle loro terre in quanto avevano svuotato le acque dell’Iseo di quasi tutte le Alborelle, che facevano poi essiccare per venderle “a sacchi” nelle grandi città.
Arrivati sul Garda si resero conto subito della grande abbondanza di questo pesce e cominciarono a prelevarne in enorme quantità, attraverso queste reti e lo fecero per ben 12 anni, arricchendosi.
Ad un certo punto però, come si dice spesso: “…a tirare troppo la corda c’è il rischio che si rompa”.
Infatti nel 1671 le autorità della Serenissima Repubblica di Venezia, certamente imbeccate dalle invidie e preoccupazioni dei locali pescatori, emanarono un provvedimento che di fatto bandì questi pescatori anche dal Lago di Garda.
La pesca dalle rive del Garda con i Bertovelli, praticata dai bresciani dell’Iseo, non rappresentava comunque una novità. Tale pratica era certamente già in uso dal 1618.
I Bertovelli furono anche citati come elementi di pesca nel 1452, in cui gli “Originari” di Garda, Torri e Sirmione entrarono in possesso dei diritti di pesca sulla “peschiera S.Vigilio” che comprendeva la Secca del Vò e le coste dei comuni di Garda e Torri, messe all’asta per la pesca alle Alborelle.
La pesca delle Alborelle era più che altro impiegata per sfamare i locali, ovvero i gardesani, la cui dieta si basava molto su questi e altri piccoli pesci, spesso essiccati o fritti e conservati.
Per essiccarli venivano posti al sole, sistemandoli sulle rocce e sui porti, mentre il compito dei bambini era quello di tenere lontano due cose dal pesce in essicazione: le mosche e i gatti.
Le Alborelle si rivelavano anche utili da vendere in periodo di Quaresima…quindi garantivano un introito…ma era pur sempre un mercato rivolto ad una clientela poco abbiente.
Il pesce più pregiato, come il Carpione e le Trote Lacustri non lo si consumava come sostentamento quotidiano, nonostante fosse abbondante allora, ma lo si destinava solo alla vendita, per ovvi motivi…e il suo consumo nelle piccole comunità gardesane era considerato un tabù e sconsigliato con varie dicerie inventate “ad hoc”.
Con questi Bertovelli era facile pescare le Alborelle ed è anche per questo motivo che ebbero molto successo, permettendo a molti di praticare questa pesca, sempre di “sopravvivenza”…ma alla fine, tra i troppi pescatori improvvisati presenti che popolavano le rive, tra i litigi e risse frequenti, anche gravi, i Bertovelli vennero infine vietati, con i proclami del 1671, 1752 e 1780.
C’è da dire che normalmente i divieti venivano sempre disattesi dai gardesani.
E’ questo un piccolo spaccato di come la gestione del prelievo ittico sia sempre stata una questione “calda” sul Garda…sin dai tempi antichi, una piccola storia che ne definisce una molto più ampia, che si identifica come “cultura gardesana”…cultura dell’acqua.
In allegato un disegno realizzato da Sergio Bazzana, che ritrae la “Mòta de la giàra” allestita davanti il castello di Torri del Benaco (sullo sfondo) costituita da 8 Bertovelli disposti a raggiera, con al centro una lanterna ad olio su un palo conficcato sul fondale per attirare le Alborelle con la luce e farle finire in queste reti coniche ad imbuto che impedivano al pesce, una volta entrato, di uscire.
Per chi volesse approfondire queste storie consiglio il libro: “I Contadini-Pescatori dell’Alto Garda” di Giorgio Vedovelli.