Lo “scuaròl”e il Carpione
“L’è nègher come n savàt”…
questo dicevano i limonesi, gli abitanti di Limone, parlando del Carpione nel periodo di frega, ovvero quando la sua livrea si faceva molto scura.
Il Carpione a Limone era una cosa seria e i suoi pescatori conoscevano molto bene le sue tecniche di pesca che erano talmente particolari da attrarre, il 24 luglio 1765, addirittura l’imperatore d’Austria Giuseppe II.
L’imperatore infatti, certamente incuriosito dalla nomea di questo pesce unico al mondo, venne a Limone per vederlo pescare con i suoi occhi.
Accompagnato in barca dalle autorità, a loro volta a seguito delle barche dei pescatori, si tenne in quell’estate del 1765 una dimostrazione di tale tecnica di pesca.
Per recarsi a vederla, le barche delle autorità con l’imperatore, passarono davanti il porto di Limone, fin oltre la foce del torrente San Giovanni per arrivare all’Ansèl, dove i pescatori erano pronti per la battuta di pesca.
Avviò le danze lo “scuaròl”, in dialetto limonese un pescatore anziano, d’esperienza quindi, che cercava e indicava i “sègn”, punti visuali che identificavano le zone più probabili di frega del Carpione.
Ed è qua che stà il fascino di questa pesca.
Lo “scuaròl” e i pescatori dalle barche si coordinavano attraverso un “copione” ben rodato, calcolando le correnti superficiali (peleràs), quelle del fondo (corìf dal fònd), il tutto in relazione al tempo necessario alla rete, il “reèt”, fatta con canapa e lino, di scendere fino anche a 200mt di profondità…cosa che poteva richiedere anche una mezz’ora.
Scendendo in profondità la rete subiva la deriva delle correnti, calcolata e prevista però dall’esperienza dallo “scuaròl”, per posarsi infine proprio sulla zona di frega del Carpione, che spesso non andava oltre le poche decine di mq d’ampiezza.
Era quindi un calcolo complesso tra punti di riferimento a terra e sui monti a cui si dovevano sommare anche calcoli di correnti, vento e profondità.
I pescatori dalle barche poi governavano la rete con delle corde durante la sua discesa sul fondo, come si governa un paracadute, questo per stabilizzarla facendola posare nella zona prevista e soprattutto dispegata nel modo corretto.
Questa pesca aveva un fascino tutto suo, vuoi per la collaborazione e l’azione congiunta che più pescatori mettevano insieme all’unisono, vuoi anche per il fatto che la preda, essendo molto ambita ed endemica nel Garda, rendeva il tutto un fatto decisamente unico.
Secondo il Bettoni (1887) questa rete, il “reèt” e questa tecnica, poteva permettere di catturare anche 200 Carpioni a calata ma, pensando alla grande difficoltà operativa e alla giusta dose di fortuna che comunque doveva per forza accompagnare tale pesca, non è scorretto immaginare che non fosse proprio sempre garantita la cattura nei termini descritti dal Bettoni.
A Limone, come detto sopra, come anche Bogliacco e Cassone, erano certamente esperti in questa pesca, comunque terminata ormai da decenni.
Il suo abbandono cominciò già a partire dal 1850 con l’arrivo della Tirlindana, cessando definitivamente con l’inserimento del Carpione nella “Red List” internazionale, in quanto specie oggi a forte rischio estinzione.
Ho scritto del Carpione più volte, basta guardare in questo sito la sezione “Storia e Ittiofauna” e durante le mie conferenze, quando parlo di questo pesce, dico sempre che dovrebbe essere l’immagine simbolo del Lago di Garda perché niente meglio di lui è in grado di rappresentare il fascino e l’unicità gardesana…e anche la sua fragilità se vogliamo dirla tutta.
Certo, come ho scritto sopra, oggi non gode certo di buona salute.
Le sue zone naturali di frega si sono ridotte e “snaturate” se così vogliamo dire e il lento scomparire del Carpione viaggia in parallelo anche a tutte quelle storie, tradizioni e conoscenze che si sono generate in secoli di vita vissuta sull’acqua da parte dei pescatori.
Sembra cosa di poco conto?
Bisogna guardare indietro per poter guardare avanti e bisogna farlo con onestà intellettuale e realismo se si vuole garantire un futuro dignitoso al Garda.
Per chi fosse interessato al racconto della pesca al Carpione consiglio il libro “I Pescatori del Lago di Garda” di Giorgio Vedovelli e Pietro Basso.
questo dicevano i limonesi, gli abitanti di Limone, parlando del Carpione nel periodo di frega, ovvero quando la sua livrea si faceva molto scura.
Il Carpione a Limone era una cosa seria e i suoi pescatori conoscevano molto bene le sue tecniche di pesca che erano talmente particolari da attrarre, il 24 luglio 1765, addirittura l’imperatore d’Austria Giuseppe II.
L’imperatore infatti, certamente incuriosito dalla nomea di questo pesce unico al mondo, venne a Limone per vederlo pescare con i suoi occhi.
Accompagnato in barca dalle autorità, a loro volta a seguito delle barche dei pescatori, si tenne in quell’estate del 1765 una dimostrazione di tale tecnica di pesca.
Per recarsi a vederla, le barche delle autorità con l’imperatore, passarono davanti il porto di Limone, fin oltre la foce del torrente San Giovanni per arrivare all’Ansèl, dove i pescatori erano pronti per la battuta di pesca.
Avviò le danze lo “scuaròl”, in dialetto limonese un pescatore anziano, d’esperienza quindi, che cercava e indicava i “sègn”, punti visuali che identificavano le zone più probabili di frega del Carpione.
Ed è qua che stà il fascino di questa pesca.
Lo “scuaròl” e i pescatori dalle barche si coordinavano attraverso un “copione” ben rodato, calcolando le correnti superficiali (peleràs), quelle del fondo (corìf dal fònd), il tutto in relazione al tempo necessario alla rete, il “reèt”, fatta con canapa e lino, di scendere fino anche a 200mt di profondità…cosa che poteva richiedere anche una mezz’ora.
Scendendo in profondità la rete subiva la deriva delle correnti, calcolata e prevista però dall’esperienza dallo “scuaròl”, per posarsi infine proprio sulla zona di frega del Carpione, che spesso non andava oltre le poche decine di mq d’ampiezza.
Era quindi un calcolo complesso tra punti di riferimento a terra e sui monti a cui si dovevano sommare anche calcoli di correnti, vento e profondità.
I pescatori dalle barche poi governavano la rete con delle corde durante la sua discesa sul fondo, come si governa un paracadute, questo per stabilizzarla facendola posare nella zona prevista e soprattutto dispegata nel modo corretto.
Questa pesca aveva un fascino tutto suo, vuoi per la collaborazione e l’azione congiunta che più pescatori mettevano insieme all’unisono, vuoi anche per il fatto che la preda, essendo molto ambita ed endemica nel Garda, rendeva il tutto un fatto decisamente unico.
Secondo il Bettoni (1887) questa rete, il “reèt” e questa tecnica, poteva permettere di catturare anche 200 Carpioni a calata ma, pensando alla grande difficoltà operativa e alla giusta dose di fortuna che comunque doveva per forza accompagnare tale pesca, non è scorretto immaginare che non fosse proprio sempre garantita la cattura nei termini descritti dal Bettoni.
A Limone, come detto sopra, come anche Bogliacco e Cassone, erano certamente esperti in questa pesca, comunque terminata ormai da decenni.
Il suo abbandono cominciò già a partire dal 1850 con l’arrivo della Tirlindana, cessando definitivamente con l’inserimento del Carpione nella “Red List” internazionale, in quanto specie oggi a forte rischio estinzione.
Ho scritto del Carpione più volte, basta guardare in questo sito la sezione “Storia e Ittiofauna” e durante le mie conferenze, quando parlo di questo pesce, dico sempre che dovrebbe essere l’immagine simbolo del Lago di Garda perché niente meglio di lui è in grado di rappresentare il fascino e l’unicità gardesana…e anche la sua fragilità se vogliamo dirla tutta.
Certo, come ho scritto sopra, oggi non gode certo di buona salute.
Le sue zone naturali di frega si sono ridotte e “snaturate” se così vogliamo dire e il lento scomparire del Carpione viaggia in parallelo anche a tutte quelle storie, tradizioni e conoscenze che si sono generate in secoli di vita vissuta sull’acqua da parte dei pescatori.
Sembra cosa di poco conto?
Bisogna guardare indietro per poter guardare avanti e bisogna farlo con onestà intellettuale e realismo se si vuole garantire un futuro dignitoso al Garda.
Per chi fosse interessato al racconto della pesca al Carpione consiglio il libro “I Pescatori del Lago di Garda” di Giorgio Vedovelli e Pietro Basso.