La Tinca e il Foròne
La pesca della Tinca con il Foróne…
Premettendo che non è certo una pesca attuabile oggi, per svariati motivi, è comunque parte della storia e tradizioni gardesane…e per questo merita di non essere dimenticata.
La storia di per sè non andrebbe mai dimenticata o “oscurata”…cosa che invece capita ancora purtroppo.
La pesca con il Foróne era comunque alquanto complessa ed era attiva proprio in questo periodo, ovvero dall’autunno fino ad inizio primavera, con il suo massimo tra febbraio e maggio.
Non era semplice come potrebbe sembrare.
Ma come funzionava?
Un pescatore, remando sulla barca, si avvicinava sui fondali ideali dove la Tinca, con il raffreddamento dell’acqua, era solita dirigersi per svernare…tra i 20 e i 35 mt sotto la superficie dell’acqua, quindi a delle profondità in cui non era possibile scorgere il fondo a vista.
Ogni tanto, avanzando molto ma molto lentamente, il pescatore che remava batteva forte con il piede il paiolo della barca e il rumore generato dall’impatto, amplificandosi in acqua, faceva scappare l’eventuale Tinca ferma sul fondo, che andava così a insabbiarsi nel fango per nascondersi, generando un ampia moltitudine di piccole bolle d’aria.
Proprio queste bolle, una volta emerse in superficie, segnavano al secondo pescatore posto in prua, il punto dell’insabbiamento della Tinca.
Ecco che veniva subito lanciato in acqua un galleggiante, per segnare il punto delle bolle e calato il Foróne in acqua, si cominciava a fiocinare ripetutamente il fondo alla cieca intorno al galleggainte, cercando di prendere la Tinca.
Era un tipo di pesca davvero “rozzo” e ancestrale se vogliamo, che consegnava tra l’altro un “prodotto” alquanto deteriorato, per via della modalità di cattura e quindi di mediocre valore commerciale.
Se non venduta la Tinca, come altri “pesce poveri”, finiva per rappresentare parte della dieta del pescatore gardesano, così come per l’Agone, l’Alborella, il Cavedano, ecc…
Venivano infatti fritti o messi sotto sale, oppure essiccati al sole e poi appesi vicino al camino per un’affumicatura, che ne conservava più a lungo le carni.
La Tinca comunque resta un pesce, a parer mio, davvero bellissimo, dalla livrea verde/oro, con carni grasse e dal gusto ottimo, seppure deciso.
E’ un pesce che per ora non desta preoccupazione circa la sua sopravvivenza nel Garda ma che, l’esperienza insegna, è da tutelare e monitorare già adesso, piuttosto che rincorrere eventuali problemi di calo demografico, in caso si dovessero presentare.
Proprio in questo senso un plauso va ad Unione Pescatori Sportivi del Garda e a FIPSAS sez. Verona per la semina di piccole Tinche, Carpe e Cavedani, effettuata in questi giorni…oltre che alla Regione Veneto per l’autorizzazione a tale azione.
Premettendo che non è certo una pesca attuabile oggi, per svariati motivi, è comunque parte della storia e tradizioni gardesane…e per questo merita di non essere dimenticata.
La storia di per sè non andrebbe mai dimenticata o “oscurata”…cosa che invece capita ancora purtroppo.
La pesca con il Foróne era comunque alquanto complessa ed era attiva proprio in questo periodo, ovvero dall’autunno fino ad inizio primavera, con il suo massimo tra febbraio e maggio.
Non era semplice come potrebbe sembrare.
Ma come funzionava?
Un pescatore, remando sulla barca, si avvicinava sui fondali ideali dove la Tinca, con il raffreddamento dell’acqua, era solita dirigersi per svernare…tra i 20 e i 35 mt sotto la superficie dell’acqua, quindi a delle profondità in cui non era possibile scorgere il fondo a vista.
Ogni tanto, avanzando molto ma molto lentamente, il pescatore che remava batteva forte con il piede il paiolo della barca e il rumore generato dall’impatto, amplificandosi in acqua, faceva scappare l’eventuale Tinca ferma sul fondo, che andava così a insabbiarsi nel fango per nascondersi, generando un ampia moltitudine di piccole bolle d’aria.
Proprio queste bolle, una volta emerse in superficie, segnavano al secondo pescatore posto in prua, il punto dell’insabbiamento della Tinca.
Ecco che veniva subito lanciato in acqua un galleggiante, per segnare il punto delle bolle e calato il Foróne in acqua, si cominciava a fiocinare ripetutamente il fondo alla cieca intorno al galleggainte, cercando di prendere la Tinca.
Era un tipo di pesca davvero “rozzo” e ancestrale se vogliamo, che consegnava tra l’altro un “prodotto” alquanto deteriorato, per via della modalità di cattura e quindi di mediocre valore commerciale.
Se non venduta la Tinca, come altri “pesce poveri”, finiva per rappresentare parte della dieta del pescatore gardesano, così come per l’Agone, l’Alborella, il Cavedano, ecc…
Venivano infatti fritti o messi sotto sale, oppure essiccati al sole e poi appesi vicino al camino per un’affumicatura, che ne conservava più a lungo le carni.
La Tinca comunque resta un pesce, a parer mio, davvero bellissimo, dalla livrea verde/oro, con carni grasse e dal gusto ottimo, seppure deciso.
E’ un pesce che per ora non desta preoccupazione circa la sua sopravvivenza nel Garda ma che, l’esperienza insegna, è da tutelare e monitorare già adesso, piuttosto che rincorrere eventuali problemi di calo demografico, in caso si dovessero presentare.
Proprio in questo senso un plauso va ad Unione Pescatori Sportivi del Garda e a FIPSAS sez. Verona per la semina di piccole Tinche, Carpe e Cavedani, effettuata in questi giorni…oltre che alla Regione Veneto per l’autorizzazione a tale azione.