Una barca…una storia arilicense e gardesana
Oggi provo a raccontarvi una breve storia che rievoca i valori e parte di quella tradizione gardesana che legava le barche dei pescatori ai maestri d’ascia.
Sono passati ormai 13 anni da quando ho donato la mia “vecchia” barca da pesca al Museo della Pesca di Peschiera del Garda…in quanto, dopo anni di utilizzo cominciava ad accusare i segni e la fatica del tempo.
Così ho pensato, non essendo più in grado di prendermene cura a dovere, di assicurarle un futuro degno di ciò che ha rappresentato, conservandola così non solo come “pezzo da museo”, ma anche come protagonista e “narratrice” di una storia da raccontare ai posteri.
Questa barca fu costruita dal maestro d’ascia, il sig. Fabbri, arilicense, realizzata tutta in mogano e viti di ottone.
Una barca a fondo piatto, con la caratteristica di avere un ”oblò” in vetro, sul piano di calpestio di poppa che, al pari di un’immersione nell’acqua con la maschera da sub, ti permetteva comodamente di vedere scorrere sotto i piedi il fondale durante la navigazione.
𝘘𝘶𝘢𝘯𝘵𝘦 𝘷𝘰𝘭𝘵𝘦 𝘤𝘪 𝘩𝘰 𝘨𝘶𝘢𝘳𝘥𝘢𝘵𝘰 𝘥𝘦𝘯𝘵𝘳𝘰, 𝘴𝘤𝘳𝘶𝘵𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘪 𝘧𝘰𝘯𝘥𝘢𝘭𝘪 𝘥𝘦𝘪 𝘤𝘢𝘯𝘢𝘭𝘪 𝘥𝘪 𝘗𝘦𝘴𝘤𝘩𝘪𝘦𝘳𝘢 𝘥𝘦𝘭 𝘎𝘢𝘳𝘥𝘢…𝘪𝘮𝘮𝘢𝘨𝘪𝘯𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘥𝘪 𝘳𝘪𝘶𝘴𝘤𝘪𝘳𝘦 𝘢 𝘱𝘦𝘴𝘤𝘢𝘳𝘦 𝘱𝘰𝘪 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘪 𝘪 𝘱𝘦𝘴𝘤𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘳𝘪𝘰 𝘢𝘵𝘵𝘳𝘢𝘷𝘦𝘳𝘴𝘰 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘴𝘵𝘳𝘢𝘯𝘰 𝘰𝘣𝘭𝘰’ 𝘷𝘦𝘥𝘦𝘷𝘰 𝘱𝘢𝘴𝘴𝘢𝘳𝘦.
Questa barca oggi ha circa 70 anni.
Fu costruita infatti a cavallo degli anni ’50, in un momento di completa transizione e trasformazione per la società gardesana.
Era infatti in questo periodo che la pesca, da sempre sostentamento e punto di riferimento per la genti gardesane cominciava, neanche troppo timidamente, a cedere il passo all’imprenditoria e accoglienza turistica.
Si affacciavano allora sul mercato i primi motori marini e le reti in nylon, trasformando così la pesca, da lenta e molto faticosa, in qualcosa di più veloce, maggiormente remunerativa e un po’ meno complessa.
Questa barca era a fondo piatto, quindi non adatta alla pesca in lago aperto; era infatti pensata per i canali di Peschiera, il Fiume Mincio, per le acque basse e calme insomma, dove l’oblò di poppa poteva permetterti, navigando sopra le reti, di controllare quanti e quali pesci erano stati o meno catturati, dandoti modo così di decidere se issarle in barca o lasciarle ancora in attesa.
Anguille, Lucci, Alose (sarde) Tinche, Alborelle, Trote Lacustri, Cavedani, Spinarelli, Gamberi di Lago, Granchi, ecc…c’era l’imbarazzo della scelta nelle acque del basso Garda, tra specie adatte al commercio (pregiate) e specie “minori” di scarso valore, perfette però per l’alimentazione quotidiana del pescatore e la sua famiglia.
Questi pesci “minori” hanno, a parer mio, pari dignità se paragonati alla Trota Lacustre, Alosa, Carpione, ecc…proprio perché sono stati parte della dieta delle genti gardesane nei tempi di “magra”, quando venivano consumati e conservati affumicati, sotto sale e/o fritti.
Non avevano valore commerciale, ma di sostentamento…per questo hanno anche loro, di diritto, una parte nella storia gardesana.
Era proprio quando andava male che i maestri d’ascia si rivelavano figure importanti, ricoprendo un ruolo sociale a volte fondamentale.
Non era infrequente che riparassero le imbarcazioni dei pescatori, anche pro bono o in cambio di qualche pesce, perché dicevano e qua parafraso una frase che mi è rimasta in mente sin da ragazzino, che se non le riparavano loro, come avrebbero fatto a lavorare e quindi a mettere qualcosa nel piatto quei poveretti?
Un concetto tanto semplice quanto di un’umanità profonda…che caratterizzava le piccole comunità che condividevano e quindi conoscevano le difficoltà della vita quotidiana.
Tempi che sembrano distanti un’eternità da noi…caratterizzati forse da un senso civico e di comunità che probabilmente è andato perso nei decenni del “boom” economico ma che, entrando al Museo della Pesca di Peschiera del Garda, guardando queste imbarcazioni e gli utensili della pesca, ancora si può percepire.
Dopo aver letto questa storia provate a guardare una barca come questa, allestita come fosse in riparazione o una vecchia rete da pesca…provate a fermarvi un secondo a pensare quanto i valori di quella società potrebbero essere d’insegnamento oggi e quanto di quello che abbiamo sia anche merito dei tanti sacrifici fatti dai nostri nonni.
Uscendo dal Museo della Pesca potreste anche provare queste sensazioni, perchè la grande storia non è scritta solo sui libri, la si può anche toccare con una mano…appoggiandola per esempio su una barca come questa.
Colgo l’occasione, con questo articolo, di ringraziare gli Amici del Gondolin che gestiscono il “Museo della Pesca e delle Tradizioni Locali” di Peschiera del Garda, aperto tutti i fine settimana, che vi invito a visitare.
Sono passati ormai 13 anni da quando ho donato la mia “vecchia” barca da pesca al Museo della Pesca di Peschiera del Garda…in quanto, dopo anni di utilizzo cominciava ad accusare i segni e la fatica del tempo.
Così ho pensato, non essendo più in grado di prendermene cura a dovere, di assicurarle un futuro degno di ciò che ha rappresentato, conservandola così non solo come “pezzo da museo”, ma anche come protagonista e “narratrice” di una storia da raccontare ai posteri.
Questa barca fu costruita dal maestro d’ascia, il sig. Fabbri, arilicense, realizzata tutta in mogano e viti di ottone.
Una barca a fondo piatto, con la caratteristica di avere un ”oblò” in vetro, sul piano di calpestio di poppa che, al pari di un’immersione nell’acqua con la maschera da sub, ti permetteva comodamente di vedere scorrere sotto i piedi il fondale durante la navigazione.
𝘘𝘶𝘢𝘯𝘵𝘦 𝘷𝘰𝘭𝘵𝘦 𝘤𝘪 𝘩𝘰 𝘨𝘶𝘢𝘳𝘥𝘢𝘵𝘰 𝘥𝘦𝘯𝘵𝘳𝘰, 𝘴𝘤𝘳𝘶𝘵𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘪 𝘧𝘰𝘯𝘥𝘢𝘭𝘪 𝘥𝘦𝘪 𝘤𝘢𝘯𝘢𝘭𝘪 𝘥𝘪 𝘗𝘦𝘴𝘤𝘩𝘪𝘦𝘳𝘢 𝘥𝘦𝘭 𝘎𝘢𝘳𝘥𝘢…𝘪𝘮𝘮𝘢𝘨𝘪𝘯𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘥𝘪 𝘳𝘪𝘶𝘴𝘤𝘪𝘳𝘦 𝘢 𝘱𝘦𝘴𝘤𝘢𝘳𝘦 𝘱𝘰𝘪 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘪 𝘪 𝘱𝘦𝘴𝘤𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘳𝘪𝘰 𝘢𝘵𝘵𝘳𝘢𝘷𝘦𝘳𝘴𝘰 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘴𝘵𝘳𝘢𝘯𝘰 𝘰𝘣𝘭𝘰’ 𝘷𝘦𝘥𝘦𝘷𝘰 𝘱𝘢𝘴𝘴𝘢𝘳𝘦.
Questa barca oggi ha circa 70 anni.
Fu costruita infatti a cavallo degli anni ’50, in un momento di completa transizione e trasformazione per la società gardesana.
Era infatti in questo periodo che la pesca, da sempre sostentamento e punto di riferimento per la genti gardesane cominciava, neanche troppo timidamente, a cedere il passo all’imprenditoria e accoglienza turistica.
Si affacciavano allora sul mercato i primi motori marini e le reti in nylon, trasformando così la pesca, da lenta e molto faticosa, in qualcosa di più veloce, maggiormente remunerativa e un po’ meno complessa.
Questa barca era a fondo piatto, quindi non adatta alla pesca in lago aperto; era infatti pensata per i canali di Peschiera, il Fiume Mincio, per le acque basse e calme insomma, dove l’oblò di poppa poteva permetterti, navigando sopra le reti, di controllare quanti e quali pesci erano stati o meno catturati, dandoti modo così di decidere se issarle in barca o lasciarle ancora in attesa.
Anguille, Lucci, Alose (sarde) Tinche, Alborelle, Trote Lacustri, Cavedani, Spinarelli, Gamberi di Lago, Granchi, ecc…c’era l’imbarazzo della scelta nelle acque del basso Garda, tra specie adatte al commercio (pregiate) e specie “minori” di scarso valore, perfette però per l’alimentazione quotidiana del pescatore e la sua famiglia.
Questi pesci “minori” hanno, a parer mio, pari dignità se paragonati alla Trota Lacustre, Alosa, Carpione, ecc…proprio perché sono stati parte della dieta delle genti gardesane nei tempi di “magra”, quando venivano consumati e conservati affumicati, sotto sale e/o fritti.
Non avevano valore commerciale, ma di sostentamento…per questo hanno anche loro, di diritto, una parte nella storia gardesana.
Era proprio quando andava male che i maestri d’ascia si rivelavano figure importanti, ricoprendo un ruolo sociale a volte fondamentale.
Non era infrequente che riparassero le imbarcazioni dei pescatori, anche pro bono o in cambio di qualche pesce, perché dicevano e qua parafraso una frase che mi è rimasta in mente sin da ragazzino, che se non le riparavano loro, come avrebbero fatto a lavorare e quindi a mettere qualcosa nel piatto quei poveretti?
Un concetto tanto semplice quanto di un’umanità profonda…che caratterizzava le piccole comunità che condividevano e quindi conoscevano le difficoltà della vita quotidiana.
Tempi che sembrano distanti un’eternità da noi…caratterizzati forse da un senso civico e di comunità che probabilmente è andato perso nei decenni del “boom” economico ma che, entrando al Museo della Pesca di Peschiera del Garda, guardando queste imbarcazioni e gli utensili della pesca, ancora si può percepire.
Dopo aver letto questa storia provate a guardare una barca come questa, allestita come fosse in riparazione o una vecchia rete da pesca…provate a fermarvi un secondo a pensare quanto i valori di quella società potrebbero essere d’insegnamento oggi e quanto di quello che abbiamo sia anche merito dei tanti sacrifici fatti dai nostri nonni.
Uscendo dal Museo della Pesca potreste anche provare queste sensazioni, perchè la grande storia non è scritta solo sui libri, la si può anche toccare con una mano…appoggiandola per esempio su una barca come questa.
Colgo l’occasione, con questo articolo, di ringraziare gli Amici del Gondolin che gestiscono il “Museo della Pesca e delle Tradizioni Locali” di Peschiera del Garda, aperto tutti i fine settimana, che vi invito a visitare.