Il Cavedano ci racconta una storia gardesana
Piccola curiosità storica sul Cavedano del Lago di Garda…
É una specie autoctona, della famiglia dei Ciprinidi, come l’Alborella o la Tinca per esempio.
Raggiunge normalmente un peso che varia da 1 a 2 kg, ma arriva anche a dimensioni maggiori come l’esemplare, dal peso di 3,4 kg, catturato il 14 aprile del 1916 ai Monti (fuori Sirmione), con gli ami e come esca viva l’Aborella.
Non é che sia un pesce d’interesse per la pesca di professione, come carne é buona e può anche confrontarsi con pesci invece blasonati, ma ha molte lische e miospine disseminate lungo il dorso e parte caudale.
Come però succedeva una volta, quando non si viveva in una società agiata come la nostra attuale, il Cavedano spesso incontrava l’interesse degli “avventizi”.
Gli avventizi erano coloro che per arrotondare il loro lavoro e portare qualcosa in tavola da mangiare, si ritrovavano a raccogliere il Canneto per fare e vendere le “Arèle” nei casi più disperati o catturare proprio quei pesci che non interessavano il mercato ittico e la vendita.
Come lo pescavano?
É bello leggere il racconto del Malfer, degli inizi del ‘900, quando raccontava come questi avventizi, nel periodo di frega del Cavedano, in primavera, dopo il lavoro nei campi si ritrovano sulle rive del Lago con il “confalòne” (rete circolare che si lancia da riva sopra la preda) per catturarne appunto qualcuno da mettere in tavola la sera.
Stavano in silenzio sulle sponde al calar della sera, cercando di vedere o un gruppo di Cavedani passare, di solito una grossa femmina seguita da una decina di piccoli maschi o di percepire il rumore della ghiaia smossa dal pesce nell’atto della frega.
Riporto ora quanto scriveva il Malfer, fondendo spesso poesia a note scientifiche, osservando questi pescatori improvvisati: “…𝘎𝘭𝘪 𝘰𝘤𝘤𝘩𝘪 𝘧𝘪𝘴𝘴𝘪 𝘲𝘶𝘢𝘴𝘪 𝘢 𝘤𝘢𝘷𝘢𝘳𝘦 𝘥𝘢𝘭 𝘮𝘪𝘴𝘵𝘦𝘳𝘰 𝘭𝘢 𝘱𝘳𝘦𝘥𝘢, 𝘵𝘳𝘢𝘵𝘵𝘦𝘯𝘦𝘯𝘥𝘰 𝘴𝘱𝘦𝘴𝘴𝘰 𝘪𝘭 𝘳𝘦𝘴𝘱𝘪𝘳𝘰 𝘱𝘦𝘳 𝘪𝘯𝘵𝘦𝘯𝘥𝘦𝘳𝘦 𝘯𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘷𝘰𝘤𝘪 𝘷𝘢𝘳𝘪𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘯𝘰𝘵𝘵𝘦 𝘭𝘢 𝘷𝘰𝘤𝘦 𝘢𝘴𝘱𝘦𝘵𝘵𝘢𝘵𝘢, 𝘶𝘯𝘢 𝘧𝘪𝘨𝘶𝘳𝘢 𝘧𝘢𝘯𝘵𝘢𝘴𝘵𝘪𝘤𝘢, 𝘧𝘶𝘴𝘢 𝘯𝘦𝘭 𝘣𝘳𝘰𝘯𝘻𝘰”.
Concludendo…strano ma vero, anche Floreste Malfer, ancora nel secolo scorso, era alle prese su come sensibilizzare le autorità verso un aumento della biomassa e pratiche di pesca in grado di adattarsi realmente alla produttività del Lago; chissà cosa direbbe oggi, quali riflessioni e suggerimenti avrebbe da dare.
Temo purtroppo farebbe fatica a riconoscere “Il Benaco” da lui descritto nel suo testo come l’attuale Lago di Garda.
É una specie autoctona, della famiglia dei Ciprinidi, come l’Alborella o la Tinca per esempio.
Raggiunge normalmente un peso che varia da 1 a 2 kg, ma arriva anche a dimensioni maggiori come l’esemplare, dal peso di 3,4 kg, catturato il 14 aprile del 1916 ai Monti (fuori Sirmione), con gli ami e come esca viva l’Aborella.
Non é che sia un pesce d’interesse per la pesca di professione, come carne é buona e può anche confrontarsi con pesci invece blasonati, ma ha molte lische e miospine disseminate lungo il dorso e parte caudale.
Come però succedeva una volta, quando non si viveva in una società agiata come la nostra attuale, il Cavedano spesso incontrava l’interesse degli “avventizi”.
Gli avventizi erano coloro che per arrotondare il loro lavoro e portare qualcosa in tavola da mangiare, si ritrovavano a raccogliere il Canneto per fare e vendere le “Arèle” nei casi più disperati o catturare proprio quei pesci che non interessavano il mercato ittico e la vendita.
Come lo pescavano?
É bello leggere il racconto del Malfer, degli inizi del ‘900, quando raccontava come questi avventizi, nel periodo di frega del Cavedano, in primavera, dopo il lavoro nei campi si ritrovano sulle rive del Lago con il “confalòne” (rete circolare che si lancia da riva sopra la preda) per catturarne appunto qualcuno da mettere in tavola la sera.
Stavano in silenzio sulle sponde al calar della sera, cercando di vedere o un gruppo di Cavedani passare, di solito una grossa femmina seguita da una decina di piccoli maschi o di percepire il rumore della ghiaia smossa dal pesce nell’atto della frega.
Riporto ora quanto scriveva il Malfer, fondendo spesso poesia a note scientifiche, osservando questi pescatori improvvisati: “…𝘎𝘭𝘪 𝘰𝘤𝘤𝘩𝘪 𝘧𝘪𝘴𝘴𝘪 𝘲𝘶𝘢𝘴𝘪 𝘢 𝘤𝘢𝘷𝘢𝘳𝘦 𝘥𝘢𝘭 𝘮𝘪𝘴𝘵𝘦𝘳𝘰 𝘭𝘢 𝘱𝘳𝘦𝘥𝘢, 𝘵𝘳𝘢𝘵𝘵𝘦𝘯𝘦𝘯𝘥𝘰 𝘴𝘱𝘦𝘴𝘴𝘰 𝘪𝘭 𝘳𝘦𝘴𝘱𝘪𝘳𝘰 𝘱𝘦𝘳 𝘪𝘯𝘵𝘦𝘯𝘥𝘦𝘳𝘦 𝘯𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘷𝘰𝘤𝘪 𝘷𝘢𝘳𝘪𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘯𝘰𝘵𝘵𝘦 𝘭𝘢 𝘷𝘰𝘤𝘦 𝘢𝘴𝘱𝘦𝘵𝘵𝘢𝘵𝘢, 𝘶𝘯𝘢 𝘧𝘪𝘨𝘶𝘳𝘢 𝘧𝘢𝘯𝘵𝘢𝘴𝘵𝘪𝘤𝘢, 𝘧𝘶𝘴𝘢 𝘯𝘦𝘭 𝘣𝘳𝘰𝘯𝘻𝘰”.
Concludendo…strano ma vero, anche Floreste Malfer, ancora nel secolo scorso, era alle prese su come sensibilizzare le autorità verso un aumento della biomassa e pratiche di pesca in grado di adattarsi realmente alla produttività del Lago; chissà cosa direbbe oggi, quali riflessioni e suggerimenti avrebbe da dare.
Temo purtroppo farebbe fatica a riconoscere “Il Benaco” da lui descritto nel suo testo come l’attuale Lago di Garda.