La travagliata storia dell’edificazione delle mura di Peschiera del Garda
MDLII – 1552
Questo è l’anno in cui fu costruito questo bastione, il Tognon.
Il significato della sua epigrafe (allegata in foto), scolpita nel marmo “Rosso Verona” dell’edicola che ospitava il Leone di San Marco recita: “Questo bastione fu eretto velocemente, dalle fondamenta alle mura, dal Principe della Serenissima Francesco Donà (79° Doge della Repubblica di Venezia) e dall’ottimo prefetto di Peschiera, Nicolao Marino…”.
Velocemente, alacremente…si ritrovano spesso questi termini nelle epigrafi delle mura di Peschiera.
Ma perchè tutta sta fretta?
Semplice…si diceva che chi deteneva il controllo di Peschiera deteneva le chiavi del Garda e quindi della “Magnifica Patria”.
Inoltre, grazie a Peschiera, lo “stato da tera” della Serenissima diveniva facilmente raggiungibile e difendibile fino a Brescia e Bergamo.
Vi era quindi necessità di fortificarla alla moderna, ovvero con sistemi al passo con l’evoluzione delle armi di offesa di allora.
Bisognava farlo però velocemente.
La Serenissima era sotto forti pressioni degli stati confinanti, tanto che Peschiera si trovava giusto nel mezzo al ducato di Mantova e il principato di Trento, entrambi avversi a Venezia.
Lavorare tra l’altro in una “piazza bassa” (Peschiera era ed è circondata da colline), smentellando le vecchie difese medioevali per costruirne di moderne non era cosa da poco…non è difficile quindi immaginare la pressione e la voglia di fare presto.
In effetti i bastioni furono eretti velocemente e collegati con le cortine murarie, l’uni agli altri, in momenti successivi.
Porta Verona, per esempio, fu costruita in neanche un anno.
I bastioni Feltrin e Cantarane in soli 15 mesi.
Ma prima di arrivare all’assetto definitivo delle mura pentagonali, ovvero come le vediamo oggi, Peschiera del Garda affrontò un percorso ad ostacoli.
Dovette conoscere un crollo importante, come quello del 1556 che interessò la cortina tra il Feltrin e Cantarane, il lato dove c’è la XXX Maggio per capirsi, oltre che crisi economiche e ben due pestilenze.
La peste colpì la prima volta nel 1576.
Evidentemente il contagio fece rallentare i lavori fino ad allora molto veloci.
Infatti, ancora nei primi anni del ‘600, vi erano zone in costruzione lasciate in stato di abbandono, come riportò il magistrato Martinengo Colleoni nel 1604, in una sua nota sullo stato della fortezza arilicense.
I lavori ripresero comunque due anni dopo la nota del Colleoni con l’arrivo di ulteriori finanziamenti.
Nel 1620 però vi erano ancora cantieri aperti a Peschiera.
Lo sappiamo da una targa in marmo che si trova ad inizio via Dante, sul muro del Bar “Ai Voltoni” (dalla Enza).
Poi, come se non bastasse, arriva la seconda pestilenza, quella “manzoniana” dei Promessi Sposi, giusto per collocarla in un ambito letterario.
Era il 1630 e la popolazione di Peschiera fu più che decimata, si stima la perdita del 50% degli abitanti.
E si arriva al 1640, quando viene posta l’ultima effige nei pressi del Cavaliere della Rocca, dove fu realizzato il magazzino delle armi con la fortezza probabilmente definitivamente ultimata…il provveditore di Peschiera era allora Benedetto Mauro.
Sebbene eretta attraverso non poche difficoltà, la fortezza si dimostrò in grado di tenere testa sia ai bombardamenti risorgimentali che della seconda guerra mondiale.
Oggi se la guardiamo bene possiamo vedere i segni del tempo…come la levigazione dei marmi a filo d’acqua, la corrosione delle zanche in ferro cinquecentesche, che in alcuni casi si notano tra i basamenti in marmo posti in acqua, i segni ancora nitidi dei colpi di scalpello inferti nel 1797 per distruggere le effigi marciane, i rattoppi in mattone per colmare i buchi dei colpi di cannone ottocenteschi, le voragini delle bombe alleate della seconda guerra mondiale, ecc…
Ci sono così tante cose che le mura possono ancora raccontare che a volte è fin difficile capire da dove cominciare.
Questo è l’anno in cui fu costruito questo bastione, il Tognon.
Il significato della sua epigrafe (allegata in foto), scolpita nel marmo “Rosso Verona” dell’edicola che ospitava il Leone di San Marco recita: “Questo bastione fu eretto velocemente, dalle fondamenta alle mura, dal Principe della Serenissima Francesco Donà (79° Doge della Repubblica di Venezia) e dall’ottimo prefetto di Peschiera, Nicolao Marino…”.
Velocemente, alacremente…si ritrovano spesso questi termini nelle epigrafi delle mura di Peschiera.
Ma perchè tutta sta fretta?
Semplice…si diceva che chi deteneva il controllo di Peschiera deteneva le chiavi del Garda e quindi della “Magnifica Patria”.
Inoltre, grazie a Peschiera, lo “stato da tera” della Serenissima diveniva facilmente raggiungibile e difendibile fino a Brescia e Bergamo.
Vi era quindi necessità di fortificarla alla moderna, ovvero con sistemi al passo con l’evoluzione delle armi di offesa di allora.
Bisognava farlo però velocemente.
La Serenissima era sotto forti pressioni degli stati confinanti, tanto che Peschiera si trovava giusto nel mezzo al ducato di Mantova e il principato di Trento, entrambi avversi a Venezia.
Lavorare tra l’altro in una “piazza bassa” (Peschiera era ed è circondata da colline), smentellando le vecchie difese medioevali per costruirne di moderne non era cosa da poco…non è difficile quindi immaginare la pressione e la voglia di fare presto.
In effetti i bastioni furono eretti velocemente e collegati con le cortine murarie, l’uni agli altri, in momenti successivi.
Porta Verona, per esempio, fu costruita in neanche un anno.
I bastioni Feltrin e Cantarane in soli 15 mesi.
Ma prima di arrivare all’assetto definitivo delle mura pentagonali, ovvero come le vediamo oggi, Peschiera del Garda affrontò un percorso ad ostacoli.
Dovette conoscere un crollo importante, come quello del 1556 che interessò la cortina tra il Feltrin e Cantarane, il lato dove c’è la XXX Maggio per capirsi, oltre che crisi economiche e ben due pestilenze.
La peste colpì la prima volta nel 1576.
Evidentemente il contagio fece rallentare i lavori fino ad allora molto veloci.
Infatti, ancora nei primi anni del ‘600, vi erano zone in costruzione lasciate in stato di abbandono, come riportò il magistrato Martinengo Colleoni nel 1604, in una sua nota sullo stato della fortezza arilicense.
I lavori ripresero comunque due anni dopo la nota del Colleoni con l’arrivo di ulteriori finanziamenti.
Nel 1620 però vi erano ancora cantieri aperti a Peschiera.
Lo sappiamo da una targa in marmo che si trova ad inizio via Dante, sul muro del Bar “Ai Voltoni” (dalla Enza).
Poi, come se non bastasse, arriva la seconda pestilenza, quella “manzoniana” dei Promessi Sposi, giusto per collocarla in un ambito letterario.
Era il 1630 e la popolazione di Peschiera fu più che decimata, si stima la perdita del 50% degli abitanti.
E si arriva al 1640, quando viene posta l’ultima effige nei pressi del Cavaliere della Rocca, dove fu realizzato il magazzino delle armi con la fortezza probabilmente definitivamente ultimata…il provveditore di Peschiera era allora Benedetto Mauro.
Sebbene eretta attraverso non poche difficoltà, la fortezza si dimostrò in grado di tenere testa sia ai bombardamenti risorgimentali che della seconda guerra mondiale.
Oggi se la guardiamo bene possiamo vedere i segni del tempo…come la levigazione dei marmi a filo d’acqua, la corrosione delle zanche in ferro cinquecentesche, che in alcuni casi si notano tra i basamenti in marmo posti in acqua, i segni ancora nitidi dei colpi di scalpello inferti nel 1797 per distruggere le effigi marciane, i rattoppi in mattone per colmare i buchi dei colpi di cannone ottocenteschi, le voragini delle bombe alleate della seconda guerra mondiale, ecc…
Ci sono così tante cose che le mura possono ancora raccontare che a volte è fin difficile capire da dove cominciare.