Pesca, nylon e motori marini, una vera rivoluzione
Pesca, nylon e motori marini…cosa hanno in comune?
Un periodo storico innanzi tutto, che sul Lago di Garda intercorse a cavallo tra gli anni ’50 e ’60.
Fu con la ripresa economica post bellica che arrivarono sul lago, in dotazione ai pescatori di professione, i primi motori marini fuoribordo Evinrude, Carniti e Selva.
Non sembra gran che come notizia, ma se la contestualizzaimo al Lago di Garda, dove i pescatori usavano i remi come propulsione rendendo quindi il lavoro faticoso e “lento”, è evidente che l’arrivo di motori marini fuoribordo, piccoli e adattabili alle barche da pesca, tarsformarono completamente la vita del pescatore.
Ad aumentare poi il prelievo del pesce ci fu, più o meno concomitante con i motori, l’arrivo delle reti in nylon, che sostituirono quelle in cotone.
La rete in nylon era certamente più robusta, leggera e con una capacità di cattura maggiore, essendo anche trasparente e con una manutenzione minore.
Pian piano si abbandonarono così le antiche usanze di colorare le reti facendole bollire in grosse marmitte con i gusci delle castagne, per mimetizzarle meglio, ma soprattutto per farle durare più a lungo.
Motori e nylon furono una grande rivoluzione nel mondo della pesca di professione.
Lo si nota anche controllando i quantitativi di pescato annuale gardesano tra il 1950 e 1960, in aumento rispetto la media degli anni precedenti.
Qualcosa è comunque andato nel verso sbagliato, in quanto dopo i picchi di catture del Carpione registrati a metà degli anni ’50, con addirittura 46,2 tonnellate nel 1956, cominciò il calo con una media di pescato di circa una ventina di tonnellate tra il 1960 e il 1967, per arrivare infine a solo 7 tonnellate nel 1968, 5 nel 1970 e 3 tonnellate nel 1972.
Un decremento di catture preoccupante, che impose il divieto di pesca del Carpione in quanto specie ormai a rischio estinzione.
Colpa delle reti e dei motori?
Non credo, non solo almeno…in quegli anni cambiava anche la società, le sue priorità e il sistema economico.
La pesca, che occupava una posizione rilevante nella realtà socio-economica, veniva lentamente abbandonata a benefico dell’attività imprenditoriale turistica, ottenuta anche attraverso tutte quelle modifiche dell’habitat e del territorio che ho già descritto in altri articoli.
Analizzando a fondo il fenomeno si nota come la pesca cominciò a perdere quel ruolo importante e quella identità che la caratterizzava.
Persero gradualmente di continuità ed efficacia anche tutti quegli stabilimenti ittiogenici che ripopolavano, a partire dalle specie autoctone, le acque del Garda.
Anche le buone pratiche di gestione dei litorali, per agevolare le freghe e la manutenzione del Canneto furono abbandonate.
Il Regio Stabilimento di Pescicoltura di Peschiera, dopo essere stato raso al suolo dai bombardamenti del ’44, fu ricostruito due volte, lavorando bene, ma non più ai livelli di quando veniva considerato lo stabilimemto ittioenico più prolifico d’Italia, in grado si consegnare al Garda, per esempio, milioni di avannotti di Trote Lacustri.
Più prelievi ittici, meno lungimiranza e interesse nella gestione, meno “legame” con un mondo che andava pian piano a perdere la sua identità e la degenerazione della qualità delle acque e dei fondali, si tradussero tout court in un declino generalizzato dell’ittofauna.
Questa base storica mi spinge oggi a considerare la pesca e i pescatori come coloro in grado di invertire la tendenza al depauperamento della biodiverità e della massa ittica.
Soprattutto chi frequenta e vive il Lago quotidianamnete può avere le capacità e la costanza nella gestione degli stabilimenti ittiogenici e nel controllo della presenza ittica.
Tutte cose che i pescatori professionisti, così come gli sportivi, sono pronti e soprattutto sono in grado di fare, ma bisogna mettere a loro disposizione mezzi economici e un piano di gestione al passo con i tempi, forte di aggiornate evidenze scientifiche che i validi ittiologi regionali possono produrre.
Confido che il tavolo di Lavoro Interregionale, che racchiude in sé tutti i portatori di interesse, già costituito e operativo attraverso il coordinamento della Comunità del Garda, sarà in grado di generare un nuovo “rinascimento” gardesano.
Oggi la Comunità del Garda, forte anche del Contratto di Lago, ha la grande opportunità, con le Regioni Veneto e Lombardia e la Prov.Autonoma di Trento, di tradurre finalmente in realtà le grandi aspettative di moltissime persone e di un territorio intero.
“Nell’oggi cammina già il domani” cit. Samuel Taylor Coleridge
Un periodo storico innanzi tutto, che sul Lago di Garda intercorse a cavallo tra gli anni ’50 e ’60.
Fu con la ripresa economica post bellica che arrivarono sul lago, in dotazione ai pescatori di professione, i primi motori marini fuoribordo Evinrude, Carniti e Selva.
Non sembra gran che come notizia, ma se la contestualizzaimo al Lago di Garda, dove i pescatori usavano i remi come propulsione rendendo quindi il lavoro faticoso e “lento”, è evidente che l’arrivo di motori marini fuoribordo, piccoli e adattabili alle barche da pesca, tarsformarono completamente la vita del pescatore.
Ad aumentare poi il prelievo del pesce ci fu, più o meno concomitante con i motori, l’arrivo delle reti in nylon, che sostituirono quelle in cotone.
La rete in nylon era certamente più robusta, leggera e con una capacità di cattura maggiore, essendo anche trasparente e con una manutenzione minore.
Pian piano si abbandonarono così le antiche usanze di colorare le reti facendole bollire in grosse marmitte con i gusci delle castagne, per mimetizzarle meglio, ma soprattutto per farle durare più a lungo.
Motori e nylon furono una grande rivoluzione nel mondo della pesca di professione.
Lo si nota anche controllando i quantitativi di pescato annuale gardesano tra il 1950 e 1960, in aumento rispetto la media degli anni precedenti.
Qualcosa è comunque andato nel verso sbagliato, in quanto dopo i picchi di catture del Carpione registrati a metà degli anni ’50, con addirittura 46,2 tonnellate nel 1956, cominciò il calo con una media di pescato di circa una ventina di tonnellate tra il 1960 e il 1967, per arrivare infine a solo 7 tonnellate nel 1968, 5 nel 1970 e 3 tonnellate nel 1972.
Un decremento di catture preoccupante, che impose il divieto di pesca del Carpione in quanto specie ormai a rischio estinzione.
Colpa delle reti e dei motori?
Non credo, non solo almeno…in quegli anni cambiava anche la società, le sue priorità e il sistema economico.
La pesca, che occupava una posizione rilevante nella realtà socio-economica, veniva lentamente abbandonata a benefico dell’attività imprenditoriale turistica, ottenuta anche attraverso tutte quelle modifiche dell’habitat e del territorio che ho già descritto in altri articoli.
Analizzando a fondo il fenomeno si nota come la pesca cominciò a perdere quel ruolo importante e quella identità che la caratterizzava.
Persero gradualmente di continuità ed efficacia anche tutti quegli stabilimenti ittiogenici che ripopolavano, a partire dalle specie autoctone, le acque del Garda.
Anche le buone pratiche di gestione dei litorali, per agevolare le freghe e la manutenzione del Canneto furono abbandonate.
Il Regio Stabilimento di Pescicoltura di Peschiera, dopo essere stato raso al suolo dai bombardamenti del ’44, fu ricostruito due volte, lavorando bene, ma non più ai livelli di quando veniva considerato lo stabilimemto ittioenico più prolifico d’Italia, in grado si consegnare al Garda, per esempio, milioni di avannotti di Trote Lacustri.
Più prelievi ittici, meno lungimiranza e interesse nella gestione, meno “legame” con un mondo che andava pian piano a perdere la sua identità e la degenerazione della qualità delle acque e dei fondali, si tradussero tout court in un declino generalizzato dell’ittofauna.
Questa base storica mi spinge oggi a considerare la pesca e i pescatori come coloro in grado di invertire la tendenza al depauperamento della biodiverità e della massa ittica.
Soprattutto chi frequenta e vive il Lago quotidianamnete può avere le capacità e la costanza nella gestione degli stabilimenti ittiogenici e nel controllo della presenza ittica.
Tutte cose che i pescatori professionisti, così come gli sportivi, sono pronti e soprattutto sono in grado di fare, ma bisogna mettere a loro disposizione mezzi economici e un piano di gestione al passo con i tempi, forte di aggiornate evidenze scientifiche che i validi ittiologi regionali possono produrre.
Confido che il tavolo di Lavoro Interregionale, che racchiude in sé tutti i portatori di interesse, già costituito e operativo attraverso il coordinamento della Comunità del Garda, sarà in grado di generare un nuovo “rinascimento” gardesano.
Oggi la Comunità del Garda, forte anche del Contratto di Lago, ha la grande opportunità, con le Regioni Veneto e Lombardia e la Prov.Autonoma di Trento, di tradurre finalmente in realtà le grandi aspettative di moltissime persone e di un territorio intero.
“Nell’oggi cammina già il domani” cit. Samuel Taylor Coleridge