Storia di reti e pesca gardesana
In inverno tutto rallenta sul Lago di Garda.
Era così anche una volta…
Anche la possibilità di pesca con le reti rallentava, tanto che venivano messe via, una volta asciutte e pulite, in casse di legno ben sigillate.
Questo perché dovevano essere protette dai topi, con cui spesso i pescatori dovevano fare i conti, in quanto attratti nei fondachi proprio per l’odòr da freschìn, tipico dei materiali usati per la pesca e dall’odore degli stessi pesci conservati sotto sale.
Nella casa di un pescatore, bene o male, il fulcro della quotidianità era la cucina.
In cucina si trovava la stufa o il camino e quindi, in prossimità della zona più calda, spesso si collocava il tavolo dove venivano rammendate le reti e non era infrequente che, sempre nello stesso locale si trovasse anche il letto per dormire…tra matasse di filati e utensili utili al lavoro di rammendo.
Anticamente le reti erano fatte di Lino e Canapa, sostituite poi, agli inizi del ‘900, da filati di cotone, soprattutto per le reti a maglia fina.
Solo negli anni ’60, con l’arrivo del nylon, il tutto divenne più agevole e “semplice”.
Molte reti arrivavano spesso dal Lago d’Iseo, passando per Salò, che fu per molto tempo un importante centro commerciale per reti appunto e materiali utili alla pesca di professione.
Storicamente l’Iseo fu un lago che, seppur piccolo, portò a conoscenza il Garda dei più moderni ritrovati nell’ambito della pesca, dall’utilizzo del cotone, al nylon, al monofilo, ecc…
Anche dal Lago di Como arrivò qualche novità.
Era infatti il 1850 quando venne esportata sul Garda la tirlindàna (dindàna).
Questa tecnica di pesca, praticamente sconosciuta nel Garda fino ad allora, permise al pescatore gardesano di ampliare molto la possibilità di pesca al Luccio, Trota Lacustre e Carpione, anche durante momenti in cui le reti risultavano meno pescose.
A risollevare ulteriormente le sorti dei pescatori, potete immaginate a questo punto come in inverno certo non se la passassero troppo bene, arrivò l’immissione del Coregone Lavarello, era il 1918.
Immesso allora, cominciò ad essere pescato con un certo rilievo a partire dai primi anni ’20 del ‘900, assicurando in inverno, proprio in questo periodo tra l’altro, ovvero durante la sua frega naturale, una risorsa su cui poter contare.
Foto di Pietro Basso, dal libro “Pescatori del Garda” di P.Basso e G.Vedovelli
Era così anche una volta…
Anche la possibilità di pesca con le reti rallentava, tanto che venivano messe via, una volta asciutte e pulite, in casse di legno ben sigillate.
Questo perché dovevano essere protette dai topi, con cui spesso i pescatori dovevano fare i conti, in quanto attratti nei fondachi proprio per l’odòr da freschìn, tipico dei materiali usati per la pesca e dall’odore degli stessi pesci conservati sotto sale.
Nella casa di un pescatore, bene o male, il fulcro della quotidianità era la cucina.
In cucina si trovava la stufa o il camino e quindi, in prossimità della zona più calda, spesso si collocava il tavolo dove venivano rammendate le reti e non era infrequente che, sempre nello stesso locale si trovasse anche il letto per dormire…tra matasse di filati e utensili utili al lavoro di rammendo.
Anticamente le reti erano fatte di Lino e Canapa, sostituite poi, agli inizi del ‘900, da filati di cotone, soprattutto per le reti a maglia fina.
Solo negli anni ’60, con l’arrivo del nylon, il tutto divenne più agevole e “semplice”.
Molte reti arrivavano spesso dal Lago d’Iseo, passando per Salò, che fu per molto tempo un importante centro commerciale per reti appunto e materiali utili alla pesca di professione.
Storicamente l’Iseo fu un lago che, seppur piccolo, portò a conoscenza il Garda dei più moderni ritrovati nell’ambito della pesca, dall’utilizzo del cotone, al nylon, al monofilo, ecc…
Anche dal Lago di Como arrivò qualche novità.
Era infatti il 1850 quando venne esportata sul Garda la tirlindàna (dindàna).
Questa tecnica di pesca, praticamente sconosciuta nel Garda fino ad allora, permise al pescatore gardesano di ampliare molto la possibilità di pesca al Luccio, Trota Lacustre e Carpione, anche durante momenti in cui le reti risultavano meno pescose.
A risollevare ulteriormente le sorti dei pescatori, potete immaginate a questo punto come in inverno certo non se la passassero troppo bene, arrivò l’immissione del Coregone Lavarello, era il 1918.
Immesso allora, cominciò ad essere pescato con un certo rilievo a partire dai primi anni ’20 del ‘900, assicurando in inverno, proprio in questo periodo tra l’altro, ovvero durante la sua frega naturale, una risorsa su cui poter contare.
Foto di Pietro Basso, dal libro “Pescatori del Garda” di P.Basso e G.Vedovelli