I basamenti del Ponte Belgioioso. Parte II
I basamenti del Ponte Belgioioso. Parte II
Come promesso, nel post pubblicato la settimana scorsa, vi racconto la tecnica costruttiva che ha permesso il posizionamento delle “pile”, ovvero i basamenti del ponte medioevale di Peschiera, il Belgioioso.
Posizionare le pile di un ponte sotto acqua, in una zona paludosa come era il tratto compreso tra la fine del Lago di Garda e l’inizio del Fiume Mincio, deve essere stato un lavoro davvero complesso e per l’epoca enorme…a dire il vero penso lo sarebbe anche oggi se è per quello.
Già allora vi erano però delle tecniche consolidate per posizionare queste pile e per costruire ponti, attraverso “casseformi” galleggianti, per capirci delle zattere in legno, profonde e con alte paratie, come grosse barche, che venivano collocate, galleggiando, sul punto dove edificare la pila.
Una volta raggiunto il punto esatto venivano quindi bloccate alle estremità, piantando delle palificate tutte intorno a queste casseforme, per poi cominciare a riempirle con materiale lapideo e malte finchè non affondavano, appoggiandosi sul fondale, dando così origine alle pile, ovvero i basamenti su cui poi costruire gli archi che le collegavano, delineando il ponte.
Rimossi i rivestimenti laterali di legno come un involucro delle casseforme/zattere, restava la costruzione della pila in sasso/marmo con alla base, compressa dal peso della stessa nel fondale, la chiglia della zattera in legno, che fungeva da basamento tavola “livellante”.
Questo sistema rappresentava la modalità base per l’epoca per l’inizio della costruzione di un ponte, ma come detto le caratteristiche della zona di Peschiera del Garda, allora simili ad una zona paludosa, con acqua bassa, e molte isolette e piccoli canali, rendevano questa tecnica non adeguata, in quanto la base di appoggio delle casseforme avrebbe certamente trovato fondale melmoso e instabile per sostenere un ponte in asse.
Quale soluzione fu adottata?
Le ricerche subacquee archeologiche effettuate negli anni ‘90 fanno dedurre che, non essendosi trovate presenze di “malte idrauliche” nelle mescole dei sassi che compongono i basamenti del Ponte Belgioioso, ne la presenza residua di casseforme stagne, si sia usata una modalità radicale per collocare le pile.
L’ipotesi più credibile è che si sia deviato il decorso delle acque tra il Garda e il Mincio in un canale secondario, già presente allora, oggi riconducibile alla “Fossetta” (il canale tra le ex carceri e il campo sportivo), bloccando con una diga a monte e a valle l’acqua nel tratto interessato dal futuro ponte, ovvero lo spazio compreso tra il retro del Ponte dei Voltoni, l’Isola dei Terrai e appena a nord dell’attuale Setteponti.
In questo modo si potè procedere allo scavo degli strati superficiali, fino a trovare un basamento solido, in cui furono piantate palificate per stabilizzare l’eventuale sprofondamento/cedimento del terrendo, utilizzando poi la tecnica delle casseforme, ma a secco.
Questo spiega infatti la presenza di malte a secco nei resti delle pile oggi presenti.
Il Ponte Belgioioso possiamo dire che seguì una logica, nella sua costruzione, che ritroviamo simile per il posizionamento dei basamenti sui cui fu costruita in seguito la fortezza pentagonale della Serenissima Repubblica di Venezia e una metodica, ovvero il prosciugamento delle acque e dei canali, che ritroviamo in uso, ancora a Peschiera, durante i grandi lavori degli anni ’20 del ‘900.
E’ un modo di vedere e interpretare la storia, a mio modo di vedere, non come un qualcosa che le rende “lontana” da noi…ma anzi, come parte di noi e della nostra storia, che definisce anche la nostra identità.
Per chi fosse interessato ad approfondire la storia del Ponte Belgioioso e le tecniche costruttive medioevali, consiglio questo libro: “Il Belgioiso – Storia e archeologia di un ponte medioevale” di Chiara Chiriotti.
Come promesso, nel post pubblicato la settimana scorsa, vi racconto la tecnica costruttiva che ha permesso il posizionamento delle “pile”, ovvero i basamenti del ponte medioevale di Peschiera, il Belgioioso.
Posizionare le pile di un ponte sotto acqua, in una zona paludosa come era il tratto compreso tra la fine del Lago di Garda e l’inizio del Fiume Mincio, deve essere stato un lavoro davvero complesso e per l’epoca enorme…a dire il vero penso lo sarebbe anche oggi se è per quello.
Già allora vi erano però delle tecniche consolidate per posizionare queste pile e per costruire ponti, attraverso “casseformi” galleggianti, per capirci delle zattere in legno, profonde e con alte paratie, come grosse barche, che venivano collocate, galleggiando, sul punto dove edificare la pila.
Una volta raggiunto il punto esatto venivano quindi bloccate alle estremità, piantando delle palificate tutte intorno a queste casseforme, per poi cominciare a riempirle con materiale lapideo e malte finchè non affondavano, appoggiandosi sul fondale, dando così origine alle pile, ovvero i basamenti su cui poi costruire gli archi che le collegavano, delineando il ponte.
Rimossi i rivestimenti laterali di legno come un involucro delle casseforme/zattere, restava la costruzione della pila in sasso/marmo con alla base, compressa dal peso della stessa nel fondale, la chiglia della zattera in legno, che fungeva da basamento tavola “livellante”.
Questo sistema rappresentava la modalità base per l’epoca per l’inizio della costruzione di un ponte, ma come detto le caratteristiche della zona di Peschiera del Garda, allora simili ad una zona paludosa, con acqua bassa, e molte isolette e piccoli canali, rendevano questa tecnica non adeguata, in quanto la base di appoggio delle casseforme avrebbe certamente trovato fondale melmoso e instabile per sostenere un ponte in asse.
Quale soluzione fu adottata?
Le ricerche subacquee archeologiche effettuate negli anni ‘90 fanno dedurre che, non essendosi trovate presenze di “malte idrauliche” nelle mescole dei sassi che compongono i basamenti del Ponte Belgioioso, ne la presenza residua di casseforme stagne, si sia usata una modalità radicale per collocare le pile.
L’ipotesi più credibile è che si sia deviato il decorso delle acque tra il Garda e il Mincio in un canale secondario, già presente allora, oggi riconducibile alla “Fossetta” (il canale tra le ex carceri e il campo sportivo), bloccando con una diga a monte e a valle l’acqua nel tratto interessato dal futuro ponte, ovvero lo spazio compreso tra il retro del Ponte dei Voltoni, l’Isola dei Terrai e appena a nord dell’attuale Setteponti.
In questo modo si potè procedere allo scavo degli strati superficiali, fino a trovare un basamento solido, in cui furono piantate palificate per stabilizzare l’eventuale sprofondamento/cedimento del terrendo, utilizzando poi la tecnica delle casseforme, ma a secco.
Questo spiega infatti la presenza di malte a secco nei resti delle pile oggi presenti.
Il Ponte Belgioioso possiamo dire che seguì una logica, nella sua costruzione, che ritroviamo simile per il posizionamento dei basamenti sui cui fu costruita in seguito la fortezza pentagonale della Serenissima Repubblica di Venezia e una metodica, ovvero il prosciugamento delle acque e dei canali, che ritroviamo in uso, ancora a Peschiera, durante i grandi lavori degli anni ’20 del ‘900.
E’ un modo di vedere e interpretare la storia, a mio modo di vedere, non come un qualcosa che le rende “lontana” da noi…ma anzi, come parte di noi e della nostra storia, che definisce anche la nostra identità.
Per chi fosse interessato ad approfondire la storia del Ponte Belgioioso e le tecniche costruttive medioevali, consiglio questo libro: “Il Belgioiso – Storia e archeologia di un ponte medioevale” di Chiara Chiriotti.